In Difesa delle Vigne Generazionali

di STEPHANIE CUADRA


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I nostri cuori sprofondarono alla vista dell’uva prostrata a terra, ostinata a salvarsi.  Erano passati due anni da quando i genitori di Roberto, Maria e Augusto, si erano trasferiti al nord per essere più vicini al resto della famiglia. Da allora le visite alla casa di campagna dei Lasorte a Martina Franca accadevano sempre più di rado. Vedendo le vigne resistere in quel modo così provocatorio, è stato naturale fermarsi e mettere in discussione le proprie priorità. In altri tempi forse sarebbe stato facile non darne peso, ma nell’era Covid, tutto gravava di più sui nostri pensieri.

Una possibilità ci sarà ancora, volevamo sperare. Tutto sommato era solo luglio; saremmo stati in grado di sistemare le vigne per forza entro fine settembre! Circa trenta vendemmie precedettero quel momento. Per convincerci bastò solo immaginare i capasoni vuoti di Maria confinati alla solitudine della piccola cantina accanto al garage da cui non sarebbe uscito il vino mai più

La nostra rivincita arrivò all’indomani quando il cartello vendesi segnato dalle intemperie e tentennate sul cancello fu eliminato. L’improvvisa rivelazione sul nuovo destino della proprietà mise però in evidenza l’innegabile fatto che né io né Roberto avessimo il rimedio che urgeva dopo il lungo periodo di trascuro subito dalle amate vigne di famiglia. Così entrò in scena Donato Livrano, vignaiolo di Contrada Carpari.

«A questo punto non c’è nulla da fare», spiegò Donato senza mezzi termini dopo un rapido sguardo del panorama. Leggendo la delusione nei nostri occhi, si è affrettato a rassicurarci che il ripristino del vigneto sarebbe iniziato con la potatura invernale e che potevamo sicuramente contare su di lui per queste lavorazioni. Non c’era dubbio che avesse ragione ed eravamo perfettamente consapevoli del nostro pessimo tempismo, ma eravamo demoralizzati comunque. Così come per tirarci su, con un sorriso lieto Donato ci chiese di accompagnarlo nella sua vigna.

A soli otto chilometri di strada, Carpari dava l’impressione di essere un luogo remoto. Il terreno più alto, gli isolotti selvaggi di fitta foresta verde immersi tra micro-appezzamenti di vite incorniciati da muretti a secco, i grandi oliveti affiancati da allevamenti di bestiame ci colsero di sorpresa. Lasciando la strada per il tratturo sterrato che ci condusse direttamente a Donato, la sensazione che generava quel luogo, il genius loci, era palpabile. Sia io che Roberto rimanemmo visceralmente colpiti.

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Durante quella prima visita a Carpari, Donato ci introdusse nel suo mondo di Verdeca, Bianco d'Alessano, Minutolo e Maresco (detto Maruggio), vitigni locali coltivati da innumerevoli generazioni di agricoltori prima di lui. Era evidente quanto i frutti di questo lavoro lo rendessero fiero, ma sentimmo anche la fragilità di quel patrimonio prezioso. Così, all’improvviso, capimmo ciò che dovevamo fare. Le nostre viti invece avrebbero aspetto l’inverno quando le avremmo affrontate con le cesoie in mano, ma questa è un’altra storia.☐


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Sul Precipizio del Grande Acrocoro Calcareo