Sul Precipizio del Grande Acrocoro Calcareo

Il recupero del patrimonio vitivinicolo nella Valle d’Itria

di STEPHANIE CUADRA


Nella Valle d’Itria, la vendemmia è una tradizione intergenerazionale.

Nella Valle d’Itria, la vendemmia è una tradizione intergenerazionale.

Sono in pochi a saperlo ma il vino pugliese è oggetto di forti pregiudizi. Mentre la Puglia si distingue tra le principali regioni vitivinicole italiane (seconda per volume solo dopo il Veneto) soprattutto per i vini rossi, nella zona centrale della regione si lotta per salvaguardare l’antica tradizione del vino a bacca bianca. Guardando verso l’interno e verso l'alto a 400 m, si trova la Valle d’Itria, un altopiano calcareo le cui caratteristiche topografiche si staccano vistosamente dal resto del tacco. Per arrivare a una reale comprensione dell’attuale diversità enologica pugliese, è fondamentale che si riconosca l’unicità dei singoli territori della sub-penisola.

Eppure non basta dire che la Valle d’Itria sia diversa. Dal punto di vista vinicolo, questa zona nella quale si sovrappongono le tre province di Bari, Brindisi e Taranto, secondo molti potrebbe sembrare poco pugliese. In un tratto arido del Meridione noto per vini intensamente rossi da moderata acidità e gradazioni importanti, sorprende pensare a un luogo dove le variabili si invertono e i vitigni a bacca nera faticano ad arrivare alla maturazione. Su questo ventoso plateau carsico, dove le temperature medie delle giornate estive non arrivano ai 30 gradi, sono le uve bianche invece che si fanno valere. L'altitudine, l'abbondante sole e le correnti d’aria marine che provengono sia dall’Adriatico che dallo Ionio donano freschezza e finezza alle uve.

In questo contesto di minuscoli appezzamenti curati a mano, l'azienda agricola a conduzione familiare è tuttora, seppur precariamente, l'unità di base del quadro sociale. Laddove nel passato si dava per scontato il passaggio da una generazione all’altra, oggi il trasferimento delle conoscenze è sempre più raro e i segni di discontinuità abbondano. Molti abitanti della Valle d’Itria provano rammarico di fronte a un paesaggio radicalmente cambiato, costatando che di 19.000 ettari di vigneti registrati nel 1939 ne restano oggi meno di 1.500.

Gli agricoltori della Valle d’Itria hanno pagato a loro spese l’esportazione di un prodotto snaturato e anonimo ad acquirenti del vino sfuso in terre lontane, tra cui i produttori del vermut piemontese. Il concetto di identità, che fosse del territorio oppure dell’individuo, non era contemplato in questa tipologia di sbocco commerciale. L’estirpazione della vite e i cambiamenti demografici, oltre a una marginale attenzione alla qualità, hanno facilitato ulteriormente il collasso dell'economia vitivinicola.

Se questo scenario può sembrare cupo, un certo ottimismo sull’avvenire della Valle d'Itria è giustificabile sulla base di tre considerazioni: in primo luogo, l’interesse senza precedenti nei vitigni rari e autoctoni, particolarmente quelli in via di estinzione; il che ci conduce al secondo punto, ovvero i progressi della ricerca e dell’ampelografia moderna, dove il DNA e la mappatura genetica conferiscono maggiore rilevanza anche alle varietà ‘minori’ tra cui il Minutolo e il Maresco, come confermano gli studi del Centro di Ricerca e Formazione Agraria Basile Caramia di Locorotondo; e, infine, la promettente evoluzione del settore enoturistico, che dà spazio a incontri in loco, esperienze didattiche e un’autentica promozione del territorio. Il presente è solo un preambolo per successivi approfondimenti, ma è già incoraggiante vedere progressi su molti fronti decisivi, grazie ai quali questa antica terra sarà pronta a dare i suoi frutti migliori.


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In Difesa delle Vigne Generazionali